Prologo
Magma sangue e fuoco è il sole,
tra le nebbie del mattino,
irretito nell’intrico verdecupo del pioppeto.
Ora è globo, che avvampa
ed esplode, bruciando
ogni sospeso vapore.
Pura luce, alta, nel cielo,
finalmente splende
e trionfa.
Nasce nel travaglio il giorno.
Dialogo
I
L'aria detersa dal vento
lascia libero il sole.
Rincuora l’improvviso tepore
uomini e cose.
Su siepi, orti e prati la vita esplode.
E’ primavera !
Improvviso e pur temuto
il lacerante urlo della sirena.
«Via ! Via! Presto, andiamo!»
Anche tu, Padre, sei fuggito
nel luogo più protetto (tu pensavi)
dove già in passato
tu ed io rifugio cercavamo.
Stavolta. eri solo:
mia madre legata al suo lavoro,
ed io, per scelta tua, “altrove”.
II
E ormai mezzogiorno passato,
ma nessuno riposa.
A un tratto l’orecchio teso avverte
un cupo rombo lontano:
«Saranno di passaggio!»
«Speriamo !»
Il rombo sempre più si accosta.
Ora, assordante, incombe.
«Forse passano oltre!».
Un sibilo !
Il tempo di udirlo appena
e subito fumo scoppi e grida.
Buio su tutta la terra.
Padre, lì, nel posto più sicuro,
un'ondata di terriccio ti coperse.
Mani coraggiose s'affannarono
a liberarti volto e respiro.
Eri ancora vivo...
Ma un'altra ondata sigillò
crudele il tuo “destino.”
III
S'allontana il rombo. Tace.
Per un istante gelido silenzio di morte
sotto il greve incombere del fumo.
Ma d’istinto si rianimano le strade
si cerca e si scava.
Qualcuno chiama. Grida flebili, soffocate.
Urla. Sgomento.
Raccolta e conta di feriti e morti.
Riconoscerli e la forza di chiamare
chi forse ancora non sa
o teme solo o spera.
Ti vide Lei, mia Madre, senza lacrime
per incredulo strazio.
Non ti vidi io, quel giorno,
né dopo.
Più.
Mai.
IV
E tuttavia non immagine di morte
di te mi resta, Padre,
ma della tua presenza amica
l’incancellabile sapore:
il disteso tuo silenzio
colmo, a tavola, di pace;
l’approdo rassicurante
delle tue ginocchia
quando dal lavoro rientravi, stanco;
lo stupore per nuovi, piccoli, lembi di mondo
scoperti dalla canna della tua bicicletta;
e l'odore lieve della calce fresca (il tuo lavoro !)
che, ogni volta, mi lasciavi addosso.
L’improvvisa tempesta,
che violenta distaccò
dal tronco il ramo,
intatti lasciò
questi lontani segni
nella mia carne ormai
per sempre incisi.
Epilogo
Ora che il tumulto degli affetti si è placato
torna la mente mia sempre più spesso,
a quella sera, quando
mio padre ed io, lasciandoci,
ignari ci abbracciammo.
Ripensando a quel momento,
e alla storia che ne seguì
e al suo intreccio,
avverto la presenza del “Mistero“,
che nel silenzio tesse i suoi ricami,
come il sole
nel fitto oscuro intrico del pioppeto.
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