Trascrizione dell'articolo pubblicato da "Il Risveglio" del 28 settembre 2012
Una generazione di fidentini si è ritrovata alla messa che don Lino Cassi ha celebrato nella cappella del seminario vescovile in occasione della ricorrenza del sessantesimo anno dalla sua consacrazione sacerdotale avvenuta appunto il 21 settembre del lontano 1952: erano i parrocchiani di San Michele, gli amici del Gruppo Condivisione e le persone a lui particolarmente legate. Nella cappella si è per un giorno riformato quel gruppo di ex universitari fidentini che alla fine degli anni cinquanta e negli anni sessanta hanno dato vita all’esperienza della FUCI a Fidenza. La FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiana) fu per tutti noi un momento straordinario e don Lino ne fu l’anima.
Così si spiega il ritorno a Fidenza per questa occasione di “fidentini del sasso” ma trapiantati altrove. La loro fidentinità è rimasta nel cognome: Salvini, Serventi, Rastelli, Vannucci, Bisagni e ancora Rastelli.
A concelebrare è arrivato, a voluta sorpresa, don Felice Castellani che poi avrà parole, poche ma intense, per don Lino suo maestro in tutti i significati che questa parola può avere.
Niente quindi di formale in questa messa, nessuna presenza per dovere di presenza o per significare autorità alcuna.
Tra le numerose riflessioni che don Lino ha sottoposto alla nostra attenzione ne vogliamo ricordare qualcuna. Don Lino parte da Gesù che scruta l’animo dell’uomo: “Gesù sembra passeggiare: invece il suo occhio guarda nel profondo e indica, non come un destino, ma come una proposta di vita”.
“Si incontrano -Matteo e Gesù- quasi per caso. D’altra parte Gesù non spiega la sua chiamata né Matteo lo pretende: lui accetta, obbedisce. C’è il sì di Gesù che precede e genera il sì di Matteo. Questo vale per tutti noi. Non è un sì facile ma vero.
Se Dio ti chiama è perché riserva un dono: un sì è difficile, ma una volta detto rivela il mondo nella sua verità profonda.”
Si sofferma poi don Lino sui cambiamenti in questi sessant’anni: “Sono tanti” ma rimane che per comprenderli anche oggi e forse proprio oggi “occorre molto ascolto in famiglia, personalmente, nella società e nella Chiesa”.
Prosegue: “Vi dirò quella che è stata per me la mia esperienza di prete. Per me è stato di grande sostegno il sì di Dio. A parte il sì di Dio è stato importante il rapporto con tutti voi, con le persone conosciute. Ho imparato molto dalle persone, specialmente dalle persone sinceramente in ricerca, ma che mi hanno aiutato a vivere la fede nella sua complessità e nella sua essenzialità. Il secondo aiuto che ho ricevuto è stata la parola di Dio. Da sempre è al primo posto, luce e lampada ai miei passi. Lampada che mi aiuta a cogliere la realtà.”
Poi ancora aggiunge: “Qualunque sia la vostra situazione, abbiate fiducia sempre; perché Dio, quando si fa aspettare, è per darci un dono più grande”. “Vivo la malattia come evento di grazia e di benedizione: in realtà è una scuola di vita, difficile indubbiamente, ma anche attraverso le prove il Signore conduce i nostri passi”.
La messa si è conclusa ed i segni di affetto che nascondevano commozioni profonde ora trovano libero spazio: le foto, le parole, i saluti, gli auguri. Ma solo nei vuoti corridoi del seminario qualcosa di diverso ha preso tutti, singolarmente: qualcosa di inesprimibile.
Ambrogio Ponzi
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