Diario


COME IN TRASPARENZA
Diario di un malato di Parkinson

In cinquanta paginette, l’Autore parroco della diocesi di Fidenza, annota alcuni passaggi della sua vita, a partire da quando gli viene diagnosticato il morbo di Parkinson, fino a quando deve lasciare la sua parrocchia perché oramai impossibilitato dalla malattia a svolgere il suo ministero.

Recensione di Francesco Bertolini 
1990/1998
In questo periodo di otto anni, a cadenza di qualche mese, l’Autore annota eventi della sua vita segnata dalla malattia, affidando al diario espressioni della sua esperienza interiore umana, spirituale e, soprattutto, sacerdotale.
Come conciliare le parole della Scrittura, secondo cui la forza di Dio si manifesta proprio nella debolezza, con la concreta esperienza del servo inutile, con l’abbandono progressivo dei compiti
del ministero sacerdotale, con la perdita irrimediabile del senso di ogni cosa? A un ritiro di sacerdoti, incaricato di introdurlo, sceglie le parole di S. Paolo su quei deboli scelti da Dio per confondere i forti. Durante l’esposizione “la parola incespicava … il pensiero si smarriva … il fiato mancava”. Non conosce la reazione degli altri sacerdoti, ma alcuni segnali gli “sembrano eloquenti”. Vive nella carne lo scandalo che desta la debolezza mentre meditano l’insegnamento circa la sua potenza. L’Autore non perde mai di vista la vita reale, non sovrappone mai la propria angoscia o, al contrario, l’esaltazione ai suoi sentimenti veri: il rifiuto del male “che tale comunque resta”, la percezione acuta del “mio niente. Inconsistenza. Impotenza. Sconcerto”; l’umiliazione per la grave difficoltà a parlare durante l’omelia. La fede “non toglie la sofferenza, non è una sorta di analgesico spirituale: la sofferenza resta con tutta la sua pesantezza”. Ma la fede dell’autore è anch’essa vera, e genera una domanda continua di senso che corre lungo tutte le pagine del diario.
“La piccolezza” reale, o totale insignificanza … per essere assunta positivamente … esige un intervento assoluto della grazia”. Con questo riconoscimento della incapacità assoluta dell’uomo di uscire da solo
dalla prigione della sua situazione mortale, e con la fiducia che tanto può la grazia di Cristo, si chiude il diario.
Segue una serie di poesie. Una delle più toccanti rievoca la figura del padre, morto in un bombardamento aereo quando l’Autore era ancora un bambino. “E tuttavia non immagine di morte di te mi resta, Padre, ma … il disteso tuo silenzio colmo, a tavola, di pace, l’approdo rassicurante delle tue ginocchia quando dal lavoro rientravi stanco; lo stupore per nuovi piccoli lembi di mondo scoperti dalla canna della tua bicicletta”.
Il lettore non può non collegare questi ricordi d’amore del bambino che fu l’Autore del diario con la sua richiesta di sapersi lasciare andare all’abbandono fiducioso e filiale all’amore di Dio.

Diario di un malato di Parkinson

13 dicembre 1990
Malattia: PARKINSON
Devo fare i conti anche con questo aspetto. È impossibile eliminarlo! Bisognerebbe eliminare il male.
Questa mattina ho avuto direttamente dal medico, Dott.., l'informazione circa la diagnosi del neurologo Prof...: parkinsonismo iniziale, lieve. Per ora nessun trattamento particolare.
Per quanto già nell'aria, non la posso considerare, in se stessa, una buona notizia.
Ma l'accettazione è totale e mi sento sereno.
Sia perché sono convinto che ovunque c'è una grazia. Sia perché il fatto pare circoscritto.
(I sintomi, che hanno portato a questa conclusione diagnostica, li ho avvertiti almeno da un anno. Inoltre ho la percezione di un loro attenuarsi e non di un loro aggravarsi).

23 febbraio 1991
Malattia: rischio del ripiegamento
Sto sperimentando come la malattia porti al ripiegamento. Affaticamento, impaccio, dolori vari e persistenti: tutto richiama a me, al mio braccio, alla mia testa, al mio incedere.
Scompare quel naturale dimenticarsi di quando si sta bene.
Devo fare i conti anche con questo aspetto. E' impossibile eliminarlo! Bisognerebbe eliminare il male.

04 marzo 1991
Chiedere la salute
Questa sera, 4 di marzo, alle 19 e qualche minuto, ero solo in Chiesa e mi apprestavo a chiudere. Attraversando il coro ho guardato l'immagine della Madonna delle grazie.
È stato come se uno mi dicesse: "Perché non chiedi la grazia della guarigione?".
In effetti io non l'avevo ancora chiesta. Mi sono preoccupato di accogliere la malattia e di pregare per questo. Mi sono impegnato a curarmi. Ma non ho chiesto la salute.
Mi sono reso conto che il mio atteggiamento non è completo e quindi corretto. E se Dio volesse darmi la salute condizionatamente alla mia richiesta?
L'ho fatto subito. Non mi interessa il risultato ma la verità di me davanti al Signore.

03 giugno 1991
La mia vita al bivio
La malattia avanza. Si fa sempre più netta ed acuta la coscienza che la mia vita si trova a un bivio.
Come uomo di impegno-carico (e incarico) sono "finito".
Ma per la fede permane più che mai aperta ogni possibilità.
È realmente l'unica "chance" che mi resta. Ma anche, e ne sono certo, la più vera.
Il bivio è questo:
.:. o mi decido per la fede in modo totale (è proprio sempre un ricominciare da capo!);
.:. o mi rassegno alla banalità, non potendo più coprirmi con l'alibi di carichi, incarichi, ruoli. La banalità apre alla deriva di disfattismo --+ ripiegamento amaro --+ piccole compensazioni --+ indifferenza.

08 giugno 1991
Discernimento: i termini attuali
Domande.
:. Dopo gli anni in cui sono stato legato e fortemente limitato nell'azione dalle condizioni di mia madre, quando questa situazione si è conclusa, subito si è aperta questa nuova forma di impedimento e di "debolezza".
Coincidenza? Casualità? Segno?
.:. Restare qui, dove sono attualmente, in un ministero che chiaramente mi supera, ritagliandomi un modo di essere parroco compatibile con il mio status?
.:. Chiedere un ministero adeguato? E quale, stante la povertà di alternative (nella nostra Diocesi o parroco o curiale!)?

09 giugno 1991
Ritiro Salsomaggiore presso i "Conventuali" 9-16 giugno 1991 - Getta sul Signore il tuo affanno
Questa mattina, già con il cuore nel Ritiro, è stato come mi fosse detto: "Perché continui a voler portare tu il peso delle cose e non le scarichi invece su di me?".
Riflettendo su questo mi sono accorto che, in effetti, "sono sempre io"... che mi impegno o non mi impegno, che sono adeguato o inadeguato, arrivo o non arrivo, sono adatto o inadatto, sono finito... e via di questo passo.
Tutta la potenza di grazia (infinita!), che è a mia e nostra disposizione, non è valorizzata che in infima parte.
Con l'io così protagonista (non davanti agli altri ma a se stesso, per responsabilità!) diventa inevitabile l'usura e il bisogno di compensazioni varie e sottili.
Il richiamo interiore suggerisce un ribaltamento della tendenza: dal caricarmi di tutto allo scaricare ogni cosa sul Signore.
La preghiera non è un ulteriore carico da portaremail momento privilegiato in cui avviene questo passaggio di pesi da me a Lui.
O meglio, è il momento in cui il Signore prende il sacco, lo toglie dalle mie spalle per portarlo Lui.
Preghiera come gioia e sollievo!
Non sono io che prego ma è lo Spirito che prega in me!
"Getta sul Signore il tuo affanno ed Egli lo porterà". "Non gettare sul Signore soltanto le cose ma te stesso, così come sei".

20 luglio 1991
Malattia come castigo e vergogna
Sotto gli occhi di tutti: R. V mi chiede della mia salute e, sentendo confermato il parkinson e la sua irreversibilità, commenta: "Devi avere un qualche peccato per essere così castigato!".
.:. Il Vangelo della debolezza non può essere preso come una specie di filosofia, da sostenere e sviluppare con brillanti ragionamenti: è visione paradossale che si può tenere e vivere solo per grazia dello Spirito.
.:. È quello che sperimento: una specie di concatenazione vitale. Appena lascio l'attenzione allo Spirito subito si appanna la prospettiva del Vangelo della debolezza. E appena questa riemerge e subito mi sollecita ad aprirmi allo Spirito.
Ne ho parlato nel Ritiro ai Preti. Forse mi sono spiegato male, ma ho avuto l'impressione che l'interesse fosse da un'altra parte: le cose da fare, che urgono; le cose che non vanno e che chiedono interventi...

10 marzo 1991
Esperienza mia debolezza
Esequie di... Per quanto preparata con cura, l'omelia mi è venuta piuttosto male. Non sono riuscito a dire quanto avevo in mente. E quanto ho detto, l'ho detto in fretta, a voce bassa. Molti non hanno capito. Noto questo per le domande che ne derivano, essendo la cosa ormai frequente.
Prima domanda: che incidenza ha la capacità di predicare sulla evangelizzazione? Perché, il dilemma è questo. O l'incidenza è decisiva e allora l'evangelizzazione richiede una precisa efficienza umana, e quando questa manca un certo tipo di evangelizzazione resta vanificata. Come intendere, in questo caso, la Parola di Paolo ai Corinzi che la potenza di Dio si rivela nella debolezza? Non resta annullata?
E se invece vale relativamente, posso pensare che proprio nel momento in cui come ministro fallisco, tocco il massimo dell'efficacia (fermo restando l'impegno e la fatica del prepararmi)?
Seconda domanda: come vivere questo momento della mia vita (già altre volte annotato e affrontato)?
È come se il Signore abbattesse la mia forza con la mia deboleZita (<<Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti" [1 Cor 1,27]). È perché non mi possa gloriare davanti a Lui (ibidem 29)? In questo caso debbo solo accogliere questa situazione con totale adesione e fiducia.

27 marzo 1992
Fede e vita
Sto seguendo, in questi giorni, le preghiere di M. TERESA. Mi colpiscono e mi istruiscono due cose:
.:. la positività del suo sguardo nonostante l'immersione continua della sua persona nella umanità sofferente, nella quotidiana tragicità della vita.
Da dove le deriva tutto questo? Mi pare che sia questione di una "particolare modalità, peculiarità" della sua fede. Diciamo: da un CARISMA.
Analogo a quello di]. VANIER (con il quale, mi sembra, c'è amicizia oltre che affinità) che vede "bella" la persona disabile.
È urgente guardare meno a noi, alle nostre capacità e incapacità, e dare più credito allo Spirito del Signore.
.:. La sintesi tra preghiera e vita: guardare la realtà pregando e pregare nella e con la realtà quotidiana. Vi colgo piena unità di tutte le dimensioni della persona con la realtà.
A me succede di subire la realtà. Di viverla con il cuore altrove. Di pregare quasi a compensazione delle frustrazioni della realtà e non come unità: di me, in me, con me, con Dio, con le persone e con la realtà data a me.

28 marzo 1993
Il Signore e l'abisso. Preghiera

Nessuna oscurità è così densa
che Tu non possa illuminarla.

Nessuna resistenza è così tenace
che tu non possa piegarla.

Nessun abisso è così profondo
che tu non possa raggiungerlo.

Nessun peccato è così grave
che tu non possa perdonarlo.

Nessun dolore è così straziante
che tu non possa lenirlo.

Nessuna rovina è così definitiva
che tu non possa ripararla.

Nessuna disperazione è così chiusa
che tu non possa accendervi la speranza.

Nessuna solitudine è così vuota
che tu non possa colmarla.

Nessuna ferita è così sanguinante
che tu non possa medicarla.

Nessun odio è così feroce
che tu non possa ammansirlo

Nessuna guerra è così accanita
che tu non possa pacificarla.

Nessuna morte è così definitiva
che tu non possa trasformarla in vita.

23 maggio 1993
Ritiro Fornovo 23-29 maggio 1993

Eccomi a Fornovo, dopo qualche peripezia: non c'era posto dai Conventuali; mi accordai allora con l'Albergo... (non certo il massimo per un ritiro): poi per caso un suggerimento di A. mi ha messo su questa pista.
Sono a Villa S. Maria, un micro villaggio della preghiera. Verde. Silenzio. In questa settimana sono l'unico ospite.
Ritrovo, qui, da solo, l'acuta percezione della singolarità dell'esistere. Di me, di ognuno.
E del mistero dell'esistere. Mistero sia nel seno so generico del suo sfuggire ad ogni presa razionale; sia in quello più preciso dell'essere presente e dell'operare di Dio.
Avverto la mia esistenza come una ferita aperta (ho pianto a lungo): mi sento sempre più un niente; un anelito inappagato, che ormai sa ciò che NON È RISPOSTA e CIÒ CHE LO È, e per questo, anelito al Volto di Dio.

Sono ridotto a un niente. E questo - a tratti - è beatificante.
Ma a volte mi sopraffà come il rimpianto di quello che avrei potuto essere e non sono stato e non sarò mai più.
L'esistere è anche inesorabilità.
Rimpianto per una "conclusività" mancata.
Ma forse sto vivendo, con la carne e il sangue e non soltanto con ,la testa, un altro tratto essenziale dell'esistenza, che è la sua incompiutezza.
E anche in questo modo, oggettivamente e, spero, soggettivamente, tutto il mio essere "anela a Te, o Dio".

25 maggio 1993
Ritiro a Fornovo 23-29 maggio 1993 - "Ma il Signore non era..."
"Camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio" (I Re 19,8).
Ripenso alla mia vita. Un cammino verso il monte. Un lungo cammino. A tratti tortuoso. Con indugi, timori, incertezze, avvilimenti, delusioni (non sono migliore dei miei padri!). Ma sempre con questo richiamo di Dio nel cuore.
"Gli fu detto: Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore" (11).
Sì, è un richiamo che costantemente ho avvertito: uscirei lasciare/ salirei fermarsi sul monte....
Questo impersonale indica certamente Dio, ma - mi vien da pensare - "Dio nascosto", velato, che parla con i fatti, le persone, le esperienze interiori ed esteriori. Certo, con la sua Parola, ma calata, compromessa, contaminata dalla realtà ambigua.
"Ecco il Signore passò. Ci fu [...] ma il Signore non era nel [...]" (ibidem).
Mi rendo conto che il Signore è passato. Nel senso - certo - che è venuto, mi ha visitato.
Ma anche e soprattutto che "ha fatto pasqua", è andato oltre. E ha costretto anche me ad andare oltre. Perché LUI ERA e NON ERA LÌ dove lo aspettavo. Era perché mi attirava a sé lì, per poi andare oltre, non esserci più "lì"...
Penso alle tante esperienze in cui ho veramente incontrato quel -Signore Dio che mi "aveva parlato" fin dalla primissima infanzia, attirandomi a sé per sempre. Momenti (ritiri, incontri, servizi...); luoghi (Spello, Benedello, Busseto, Salso, Camaldoli...); avvenimenti, compresi i lutti e la malattia; persone (umilissime ignote ma non a me, e note: Dossetti, Giussani, J. Vanier...); amicizie (persone vive... ecc.).
Sul momento mi pareva che quello fosse "illuogo di Dio" e lo era veramente, perché lì Dio, in Gesù, mi stava parlando. Ma per andare subito oltre.
E così anche per i tentativi di "concludere", di "realizzarmi in una forma precisa e definitiva".
E invece sempre oltre. Da capo.
Avverto il distacco da tutto, come convinzione e come atteggiamento profondo del cuore (anche se tradito). Ma senza illusioni. Poter fare ora qui una tenda per restarci con Dio è troppo bello per non essere tentante. E sarò certamente ancora tentato fino a tornare a chiederlo al Signore, come fece Pietro.
Ma ogni volta sarà un parlare senza sapere quel che mi dice.
Allora questa mia "non conclusività", che è il pungolo nella mia carne, al di là delle contingenze che ne determinano la forma storica (carattere, circostanze, malattia ecc.) esprime la situazione dell'uomo, e ancor più del credente che, pur sul monte, continua a vivere l'esodo di Dio e suo personale e del popolo tutto.

20 agosto 1993
Di fronte alla mia malattia
In questo periodo mi è mancato il tempo di annotare quanto sto vivendo. Periodo molto intenso. Il parkinson non è scomparso. Mi limita. E tuttavia continuo a sentirlo come grazia e benedizione.
Mi sembra che mi conduca a una condizione più evangelica. Riducendo la "mia" forza e la mia efficienza (e quindi lo spazio del "vantarsi") mi fa strumento più idoneo per l'operare di Dio. Avverto che il Signore sta facendo di me come un piccolo· segno del suo procedere. Tanti modesti indizi indicano una efficacia che non viene da me e, tuttavia, è collegata a me.
Mi stupisce, invece, la reazione dei miei "confratelli". Drammatizzazione della mia condizione.
Compianto sincero per qualcosa che mi è stato tolto. Come se l'efficienza fosse la cosa più importante per un prete.
Possibile che a nessuno venga in mente di pensare e di dire: "Rallegrati, fratello, grandi cose può e vuole fare il Signore con te (così come sei, e ancor più, come sarai)!".

27 dicembre 1993
Intervento all'alluce valgo. Lunga convalescenza

09 marzo 1994
La vera grandezza umana: il niente di sé
Più avanza la mia debolezza e più avanza la coscienza del suo valore. E l'attrattiva. Avverto come vera grandezza il niente di sé per lasciare tutto lo spazio a Dio per il suo operare. Essere totalmente in balìa di Dio. Senza più resistenze.

21 aprile 1994
Donare la vita e curarsi!
Il pastore vero dona la vita per le pecore. Come conciliare questa "parola" con il fatto che io, parkinsoniano, devo curarmi, riposare adeguatamente, risparmiare energie, fare fisiochinesi ecc.?
Ho ripetutamente dichiarato al Vescovo la mia disponibilità per un qualsiasi altro ministero. Ho chiesto parere a don... e al Consiglio Pastorale Parrocchiale. Tutti a insistere perché resti, accettando di fare solo quanto attiene agli annunci, alla direzione spirituale, alla riflessione pastorale. Forse il mio spendermi sta in questo restare con i miei nuovi limiti.

13 giugno 1994
Ritiro Salso 12-20 giugno - Mie scelte
Nel primo incontro-visita, avvenuto la scorsa primavera, il Prof.. mi espresse immediatamente ed esplicitamente il suo punto di vista: l'intervento farmacologico doveva essere rafforzato.
In tutto questo periodo ho ricevuto amichevoli pressioni anche dai Proff. R... e B..., sempre nella direzione di un più robusto intervento farmacologico.
Il tutto mi spinge a chiarire a me stesso la mia posizione, nelle sue ragioni e nei suoi contenuti, pronto a correggerla se verità lo esigesse, convinto di non appartenermi e di dover rendere conto anche della cura della mia salute.
Considero l'intervento farmacologico in ogni caso funzionale agli interessi primari della persona.
L'uso di farmaci non deve sostituirsi alla persona, alle sue risorse e difese, ma coadiuvarle e sostenerle.

Quindi, di fronte all'insorgere di una malattia, come prima istanza, far appello alla capacità di risposta della persona.
Di fatto, oggi, succede il contrario: la prima cosa che si fa è ricorrere al farmaco. Perché?
I farmaci sovrabbondano e ci sono forti pressioni pubblicitarie e, quindi, di interessi economici; c'è, nel medico e nel paziente, illegittimo desiderio di sconfiggere la malattia e di vedere ciò realizzato nella propria situazione; ma c'è anche l'impazienza di cogliere subito questo successo... e senza troppo sacrificio e sofferenza.
Ecco, allora, riaflÌorare, anche attorno al problema dell'uso del farmaco (che, dunque, non è così semplice e innocente come parrebbe), posizioni culturali ed etiche quali: SUBITO - TUTTO - A POCO PREZZO!
Ho il mal di testa... prendo una semplice aspirina... ~ mi passa subito! Non ci si pone neppure lontanamente il problema che, in questo modo, non solo il corpo viene indebolito nella sua capacità di risposta, ma la persona regredisce quanto alla sua robustezza etica e spirituale. Non si pensa quanto più utile e positivo sarebbe il tenersi, almeno per un poco, il mal di testa, rimandando l'uso del farmaco a quando occorresse proprio a sostegno della persona. (Questo "quando" è certamente opinabile ed è competenza del medico indicarlo. Ma quello che conta è la strategia, è la visione, entro la quale ci si muove).
L'uso facile del farmaco impigrisce la persona nelle sue capacità di reazione, è una sorta di delega: "C'è uno che lo fa per me; io posso anche sedermi!".
Oppure potrebbe favorire l'arrendersi del depresso, o di chi ha il complesso del malato.
In entrambi i casi vien meno quello slancio positivo, costruttivo, dello "spirito", che risveglia e mette in circolo recondite energie.
C'è, poi, la questione delrinquinamento. Non c'è farmaco che sia al riparo da qualche controindicazione, specialmente nelle malattie irreversibili dove l'assunzione del farmaco è a vita. In questo caso il rimandare la sua introduzione al massimo del possibile (prudentemente inteso) non è forse saggezza?
Tutto questo vale particolarmente per il parkinson, dove il farmaco non è propriamente curativo del morbo ma dei suoi effetti.
La mia scelta, che non vuole essere assoluta e pregiudiziale, mi sembra ragionevole e di natura prevalentemente etica, senza invasioni di campo e di competenze.

14 giugno 1994
Ritiro Salso 12-20 giugno 1994 - Il mio cammino di discepolo

IN QUALI CONDIZIONI
SONO ARRIVATO AL RITIRO

PUNTO DI VISTA FISICO
PARKINSON: avanza, lentamente, ma avanza. Lo vedo da due sintomi: maggior difficoltà delle dita nei movimenti fini; più accentuata tendenza a piegare il tronco verso destra (in proporzione alla stanchezza); tendenza a "cadere", anche se finora non sono caduto.

.:. Ottobre, novembre, dicembre, in pratica risucchiati dall'intervento all'alluce. Con coda in gennaio e oltre.
.:. In debito di sonno... Ancora troppe volte mI metto a letto all'una e mi alzo alle cinque! Colpa della lentezza e della volontà di finire qualche lavoro. Rischio di un circolo vizioso: più lento _ più tardi _ più stanco _ più lento.

LIVELLO DELLO SPIRlTO
.:. Come ho vissuto questa evidente riduzione di efficienza e aumento di inadempienze, un tempo così tormento se per me?
.:. Come si è sviluppata, anche attraverso questo, la mia vita secondo lo Spirito? In quale direzione sta spingendo?
.:. Intanto ho chiesto ripetutamente al Vescovo di togliermi dalla Parrocchia senza dare formali dimissioni: non ho voluto essere io - per ora - a determinare la mia situazione (andare o stare) come sarebbe avvenuto con il mio silenzio (=stare) o le mie dimissioni (=andare). Ora il Vescovo sa di poter liberamente disporre di me. lo attendo, oggi come oggi, serenamente.
.:. Le acquisizioni riguardo al valore evangelico della debolezza si sono rafforzate.
In più si sono fatte avanti due percezioni:
.:. nella prospettiva della fede e di Gesù crocifisso, la realizzazione di sé non è solo e necessariamente diretta ma, paradossalmente, passa attraverso la "non-realizzazione" obbediente e amorevole.
.:. ora sempre più il mio interesse ultimo e supremo è la VERITÀ del mio esistere, non importa dove o come.

1 8 giugno 1994
Ritiro Salso 12-20 giugno 1994 - Il servizio della presidenza: difficoltà e impegno
Un elemento fondamentale per esprimere un giudizio sulla mia situazione è dato dallo svolgimento del compito di presidenza liturgica. UN PUNTO È CHIARO: qualora/quando non fossi più in grado di esercitare la presidenza liturgica e pastorale, dovrò/vorrò assolutamente dare le dimissioni.

11 agosto 1 994
In questi giorni ho dovuto constatare un aggravamento del parkinson.
I sintomi: maggiore lentezza (troppo spesso in ritardo sugli orari); più accentuata la precarietà dell'equilibrio per il maggior trascinamento in avanti, indietro e sul fianco destro; grave difficoltà nelle discese ripide e strette (come da Malga Segantini alla partenza della seggiovia).
La lentezza mangia molto tempo; il trascinamento esige vigilanza continua. Vedo la mia vita sempre più condizionata dal parkinson.

Momenti di sconforto e di rimpianto. Coscienza sempre più chiara della mia condizione e della inevitabilità di assetti diversi e ignoti.
Dover tutti i giorni buttar via tanto tempo per cose quasi banali!?
Come conciliare, per il poco tempo che mi resta, preghiera studio e ministero?
Dover spendere tante energie mentali e fisiche per contrastare il male che, comunque, avanzerà inesorabilmente?

Le luci:
.:. il Signore, la gioia, è comunque presente nella mia esistenza, sempre;
.:. dare tempo ed energie a causa della malattia è riconoscerla realmente nel suo concreto impatto e, dunque, obbedire alla vita;
.:. dare voce di fede e senso offertoriale al gemito del creato è azione sacerdotale;
.:. non so che.cosa Dio vuoI fare di me ammalato, a quali esperienze intende condurmi, se e quale tipo di segno per gli altri progetta di costituirmi... ma so che la sua volontà è buona e potente...; che il fidarmi di lui è l'atteggiamento più ragionevole e umano che io possa assumere. Ne ho già avute prove anche per il parkinson. Intendo farlo senza riserve.

1 2 agosto 1 994
Riconciliarmi con la nuova immagine di me stesso
Mi sto rendendo conto che mi devo riconoscere e riconciliare con la mia nuova immagine e che questa riconciliazione è non facile.
Ho tante volte e giustamente criticato l'attaccamento alla propria immagine... Ma quando mi vedo tutto piegato a destra e inclinato in avanti, da vecchio... mi sembra che si tratti di un altro.
È vero, quello che si vede non è "la persona"...
questa non si vede, mentre l'immagine sì!
DEVO RIACCORDARE LA COSCIENZA DI ME CON L'IMMAGINE DI ME, senza che questa (l'immagine) trascini, travolga quella (ed è l'esperienza nefasta di tanti parkinsoniani), o quella neghi questa.
Questa riconciliazione è di tutti. Solo che normalmente, per la lentezza del processo, la riconciliazione è indolore. Nel caso nostro è dolorosa e difficile perché il cambiamento è quasi improvviso.

20 agosto 1 994
Inizio di terapia specifica per il parkinson
L'aggravamento dei sintomi, già apparso a fine luglio, e fattosi più evidente in Campeggio, mi ha convinto del fatto che il momento era giunto di iniziare la specifica terapia per il parkinson.
La debolezza, per essere luogo di grazia, dev'essere "data" e non masochisticamente prodotta da noi.

05 settembre 1994
Debolezza e forza
Il peccato come debolezza ci fa toccare con mano la nostra incapacità ad operare pienamente il bene. In questo senso diventa luogo di manifestazione della potenza di Dio nella forma del perdono.
La debolezza come luogo della potenza di Dio chiede anche una mia conversione. Accoglierla senza tentare di illudermi. Il curarmi è parte di questa accoglienza: implica il riconoscimento pratico, non disperato di questa mia realtà.
Mi sembra che questa accettazione non sia solo da parte mia ma, essendo io parroco, coinvolga anche tutta la parrocchia. E non semplicemente nel senso che è chiamata a convertirsi per accogliere la "mia" debolezza ma anche nel senso che è chiamata ad accogliere la "sua" conseguente debolezza, in quanto, fin che resto, la parrocchia sarà essa stessa più debole.
Vivere tutto questo come opportunità di grazia:
è la sfida evangelica che ci viene lanciata dalla malattia.
Una parrocchia meno efficiente, più umile, più disposta a contare sulla grazia: questa è la parrocchia "guarita" dalla malattia. Una parrocchia che impara ad affidarsi a Dio!
Mi fa paura un insieme di segnali, che mi vengono dalla Parrocchia: "Faremo di più noi!". Sarebbe una lettura giusta se significasse maggiore corresponsabilità; errata, invece, se volesse significare:
"Nascondiamo la debolezza".

22 settembre 1994
Il XXV nel segno esigente della divina predilezione
In questi giorni avverto acutamente il mio niente. Inconsistenza. Impotenza. Sconcerto.
Ma se Dio opera con forza
nella debolezza,
tanto più opera nel nulla.
Il nulla è il luogo della onnipotenza di Dio,
il luogo dove Lui solo può entrare
ed agire
in totale libertà,
senza resistenza alcuna.

07 gennaio 1995
Nel corso delI'anno appena concluso si è accentuata la difficoltà motoria e la deviazione del tronco al lato destro e in avanti.
A tutto questo si è aggiunto, forse come conseguenza, il tipico, insistente, dolore muscolare, simile al crampo. Il ricorso al farmaco (con un dosaggio mini: una pastiglia al dì) e l'avvio del programma di ginnastica correttiva, per adesso non hanno portato risultati soddisfacenti.
Anzi, la ginnastica in questa fase, essendo orientata a stirare la muscolatura del lato destro, immediatamente provoca una contro tensione muscolare, dolorosa in sé e tale da ulteriormente disturbare la deambulazione.
È concreta esperienza di lotta continua. Il dolore e l'impaccio sono lì, appena mi muovo. Viene la tentazione di restarmene sempre seduto. Invece mi devo vincere, indurire la faccia e via!
Avverto fisicamente il "peso" del corpo, come qualcosa che schiaccia, qualcosa da trasportare e che depongo con grande sollievo, quando mi siedo o mi corico.
Prima non era così: era il corpo che portava il corpo, cioè, che si autososteneva, senza che "io" ci pensassi. Ora sono "io" che lo porto e che, in ogni momento, debbo decidere di farIo.
L'apparente assenza di Dio è il segno della sua presenza.
Dio è tanto più presente, quanto più sembra scandalosamente assente.
Vivo la mia situazione che, a tratti, mi risulta particolarmente pesante e limitante, come grazia e segno di predilezione, perché mi rende partecipe del paradosso della presenza di Dio, pienamente rivelato in Gesù crocifisso.
E questo non per scelta o volontà mia ma per libera disposizione di Dio.

14 gennaio 1995
Riposo Salso - Mia situazione
Inizio oggi, sabato, questo "stacco", qui a Salso. Programma: ginnastica rieducativa e riposo. Dal punto di vista del parkinson, il '94 è stato l'anno, finora, più negativo: non solo per l'avanzare del morbo e relativo ricorso a l'L-Dopa, ma per il rapido aggravarsi della deviazione a destra, che rende molto faticoso il camminare e rischia di compromettere la colonna vertebrale.
Intanto mi si pongono due problemi pratici:
.:. difficoltà nell'armonizzare lo spirito dell'abbandono e dell'accoglienza della debolezza con lo spirito della lotta-per-vincere che occorre - e come! - per insistere in questa ginnastica correttiva;
.:. difficoltà nel tenermi aperto al Signore-persone-avvenimenti-pensieri e, insieme, concentrarmi sul mio corpo (che duole continuamente e, quindi, richiama, reclama, ha bisogno...) per curarIo.

19 gennaio 1995
Riposo: Salso 14-21 gennaio '95 - Terapia come "sacramento"
Stasera, mentre ero steso sul tappeto per la ginnastica, mi è stata data la seguente intuizione a proposito della problematica che vivo di questi tempi e che ho annotato il 14 c.m.
Gli esercizi ginnici, come ogni terapia, per il credente in Cristo, appartengono all'universo sacramentale1; si inseriscono nell'azione taumaturgica di Cristo, nella sua lotta contro il male2.
La loro efficacia naturale si carica di nuova energia. In mano al credente sono confessione e implorazione dell'energia di Cristo, nell'obbedienza alla libera volontà del Padre.
In mano a Cristo sono via del suo libero agire per la liberazione dell'infermo, nei modi e nei tempi che non appartengono all'uomo ma solo a Di03.

28 marzo 1995
Esperienza della Parola di Dio come chiamata concreta
Da circa un anno sto facendo una singolare (per me) esperienza di incontro con la Parola di Dio.
Questa. Alcune espressioni della S. Scrittura mi si sono mostrate capaci di definire la mia vocazioneoggi, come rivelative di ciò cui oggi sono chiamato, e acquistano per me-oggi-qui un senso concretissimo.
Le chiamo, appunto, PAROLA-VOCAZIONE.
La prima esperienza in questo senso l'ho fatta con la figura di Giovanni Battista. Quel suo definirsi con una serie di NO, l'ho avvertito, ad un certo punto, come indicativo di quanto mi era chiesto, nell'esperienza di malattia che sto tuttora vivendo.
Si stabilisce come un corto circuito tra la realtà e quella particolare parola, per cui l'una illumina l'altra.
Non si tratta di cogliere i vari significati di "quella parola", ma di essere come spinto a leggere e assumere quella "particolare realtà" alla luce di quella "particolare parola".
Per tornare all'esempio, nell'espressione di Giovanni Battista: "È necessario che io diminuisca e che Lui cresca", quel Lui ha assunto, con non poche mie resistenze, il senso di chiunque io abbia di fronte = lasciare spazio al Signore nella forma di ogni persona. Accettare con gioia (cfr. la presenza dello sposo) di essere sempre più niente, fare spazio, ritrarsi. Ma non come sforzo ascetico, bensì come adesione alla mia condizione, che mi conduce a dover cedere il passo a tutti e in tutto. In parrocchia: il fatto di non poter più visitare gli ammalati, incontrare le famiglie... il fatto che il presiedere mi risulta sempre più difficoltoso... Ancor meno in diocesi. Ogni giorno sono chiamato a fare come un passo indietro, con conseguente riduzione del fronte operativo.
La seconda esperienza di parola-vocazione l' ho fatta con il ricordo insistente di Qoelet, dove dice che c'è un tempo per ogni cosa (Qo 3,1). In passato leggevo questa pagina secondo una visione ciclica. Poi mi si è imposta quella lineare. Parola e vita si sono chiarite a vicenda. E allora, tramite la Parola "mi è stato detto" ed io ho compreso, che se per alcune cose (dal banale andare in bicicletta, al- ben più importante - promuovere tal une esperienze come i Ritiri a Benedello) il tempo era inesorabilmente passato, per altre il tempo era giunto.
Ho compreso che il tempo non è mai vuoto; che ogni tempo ha un suo dono. Allora il tempo della malattia non è un tempo maledetto, ma tempo di grazia, come ogni altro tempo; e la stessa malattia costituisce, è il mio lavoro, la mia opera, il mio ministero.
Terza parola-vocazione è: "Imparò l'obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5,8). La sofferenza è una chiamata nitida, insistente, di fronte alla quale non c'è distrazione ma "sÌ" o "no". È come una lima o una mola che educa alla resa, al "sÌ".

14 aprile 1995
Il Crocifisso

Ha dato tutto.
Nudo di tutto.
Ha dato se stesso:
la sua nudità.

Le mani inchiodate
non trattengono nulla,
fissate per sempre
nell'offerta di sé.

Si è dato a tutti.
Non lo possiede nessuno.
Nessuno è escluso:
anche l'ultimo è atteso.

21 maggio 1995
Mettere la propria debolezza a disposizione di Dio
Oggi non ho presieduto la celebrazione della MESSA DI PRIMA COMUNIONE. È la prima volta che succede da quando sono Parroco: il parkinson incomincia a mettere sul banco le sue cambiali.
Ho cercato di non indugiare sulla "cosa" per non lasciarmi prendere dalla commozione. I dolori al bacino e alla fascia muscolare corrispondente mi suggerivano l'assenza. E cosÌ anche l'imbarazzo per come sono oggi fisicamente.
Poi si è fatto strada in me questo pensiero: "lo non sono padrone neanche della mia debolezza da fame quello che voglio o che "mi sento". In fondo questa Eucarestia, sia per i ragazzi che per le famiglie e la comunità, è una delle più significative.
Proprio in riferimento al valore della Messa: concelebrare oggi è importante!". E ancora mi è stato suggerito "dentro": "Metti la tua visibile debolezza a disposizione del Signore. Ne faccia Lui l'uso che vuole".

07 giugno 1995
Riposo a Salso 4-15 giugno - Quello che sto vivendo
Sono venuto essenzialmente per fare ginnastica. Vivo questo impegno come obbedienza e come atto di fede.
La ginnastica, nelle mie condizioni e nella quantità e qualità suggerita, non è cosa piacevole ma faticosa, sia in senso fisico sia in senso mentale, come controllo e disciplina.
La fede e l'obbedienza stanno in questo. Il discernimento della volontà di Dio e del che cosa mi è chiesto, esige che io faccia tutto il possibile per contrastare la "deviazione del tronco" che attualmente mi è di grave impedimento. Esige in particolare che io verifichi la possibilità o meno di una correzione tramite la fisioterapia.

18 novembre 1995
2° Degenza al "Don Gnocchi" Milano - Come Dio ci ama
(Sono a Milano, presso il "Don Gnocchi").
Non ho dubbi sul fatto che Dio mi ami e che tutto faccia convergere al mio bene. Ma ho avvertito il rischio di proiettare su questo amore il mio egocentrismo.
Il fatto che "tutto" converga al "mio" bene non può essere inteso nel senso che "io" sono il centro degli avvenimenti, degli incontri, delle varie relazioni delle persone. In realtà Dio vuole il "mio" bene all' interno del bene di "ognuno e di tutti".
Dio vuole il "nostro" bene, e arricchisce gli uni con gli altri nella trama della comunione.

21 novembre 1995
2° Degenza al "Don Gnocchi" - Dio innalza e abbassa
Più o meno a quest' ora, nella mia Cattedrale, viene consacrato Vescovo un mio confratello, Mons. C.C.
Per contrapposizione penso ai confratelli ammalati (d.G.M. e d.R.D.) e, per questo, nel silenzio.
È Dio che, misteriosamente, innalza e abbassa!
Ma in che senso?
E se è lo stesso Dio che opera, perché si fa festa quando uno è innalzato e si fa silenzio quando uno è abbassato?
Non sarà che il criterio in pratica vincente non sia tanto l'agire di Dio quanto il successo mondanamente inteso?
Può essere. Tuttavia penso che, fino a quando siamo in cammino, si piange il Venerdì Santo, alla semina, e si gioisce e canta a Pasqua, alla mietitura.
D'altra parte l'innalzamento terreno non è definitivo e domani può mutarsi in abbassamento e viceversa.
Soprattutto colui che è "innalzato" è inviato a colui che è "abbassato" per innalzarlo onorandolo.
Nel Vescovo (ma anche nel battezzato) che accosta l'ammalato c'è Cristo, che continua la sua attenzione all'uomo che soffre. E nell'uomo che soffre (intendo: in "quest'uomo" concreto, preciso) c'è pure Gesù in perenne agonia.
Diversi i modi ma pari dovrebbe essere la nostra attenzione, se vogliamo guardarci dallo spirito mondano.

23 novembre 1995
2° Degenza al "Don Gnocchi" - Mons. Nìcola, del Kossovo, ricoverato accanto a me
Questa mattina è stato ricoverato, proprio nel letto accanto al mio, il Vescovo albanese Mons. Nìcola, per un ciclo di cure e di controllo alla protesi della gamba destra.
"E così - mi son detto - a forza di pensare a Vescovi e ammalati, il Signore ha mandato qui un Vescovo che è anche ammalato. Doppio carisma!".
L'avevo conosciuto in luglio, alla mia prima degenza. Ho un'ottima occasione di servizio, anzi, due: al Vescovo e all'infermo!

P.S.
Quanto a me, e lo segno una volta per tutte, vivo la mia situazione paradossalmente come innalzamento anche per l'attenzione e l'affetto che mi viene dato dai vicini e dai lontani. È un dono prezioso anche per contrastare la malattia.
Perché tanti hanno solo il deserto?

1 3 febbraio 1996
Mia situazione
Continua la spinta forte a tener fisso lo sguardo in Gesù, e in Gesù crocifisso.
Al tempo stesso avverto la mia inadeguatezza a tutto fronte.
Più è viva la coscienza della verità, della bellezza di Gesù, di quello che Lui è oggettivamente per tutti e quindi di come cambierebbe la vita di tutti
se Lui fosse riconosciuto, e più avverto la mia incapacità ad operare in questo senso.
Se ancora ritorna la domanda: "Qual è il mio posto?" è perché sogno un posto, mi illudo che ci sia un posto, nel quale questo scarto possa essere annullato?
Negli scorsi mesi, quando stavo peggio di salute o ricoverato al "Don Gnocchi", il problema non c'era. Ero senza alternative e possibilità. Tutto era, di conseguenza, più semplice. Il mio posto era lì.
Ora vivo la mia inadeguatezza come colpa. O, forse, mi sto ancora illudendo di poter essere "un servo utile" e sto tentando o cercando di vedere come e dove. In realtà, ovunque e chiunque, è sempre e solo un servo inutile!

28 maggio 1996
Gesù
Le intuizioni o "evidenze" che mi accompagnano in questo periodo sono:
"Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste".
Tutto <-> niente.
Non posso parlare o occuparmi di qualcosa senza dire "Lui".

"Quando poi verrà lo Spirito di verità, Egli vi guiderà alla verità tutta intera".
Solo se è tutta intera la verità è Verità.
È ancora Gesù, il Verbo fatto carne,
la verità tutta intera
alla quale ci introduce lo Spirito.
Nella Messa non aggiungere parole a parole.
(Solo con sobrietà, così da evidenziare senza coprire quanto è scritto: parole della Chiesa e, alla radice, "parola di Dio").
Ascolta quello che proclami;
e proclamalo in modo che venga ascoltato.

09 agosto I 996
Sofferenza e fede
Per l'esperienza che sto facendo, la fede non toglie la sofferenza, non è una sorta di analgesico spirituale: la sofferenza resta con tutta la sua pesantezza.
Ma la fede, con il farei una cosa sola con Cristo, oltre che rivelarei un nuovo senso del soffrire, ei conduce a vivere - dentro l'oscurità del male, che tale comunque resta - l'esperienza positiva di una inespressa dimensione della mia umanità, anzi una sorta di inveramento di me, di realizzazione di me in Cristo.
Come se l'essere al riparo dal dolore trattenesse l'esperienza del vivere, compreso il vivere religioso, in una condizione di immaturità.

12 agosto 1 996
Abbandono nelle mani del Signore
Sono sempre più interiormente confermato nel vivere e nel proporre l'abbandono di sé al Signore, come l'atteggiamento base della vita cristiana.
Abbandono significa: so che Gesù mi ama e mi accoglie così come sono; so che lui può fare di me, così come sono, cose inimmaginabili; e che, dunque, i miei limiti e il mio peccato di fragilità non potranno mai impedire la realizzazione dei suoi progetti, così come le mie capacità non potranno mai renderli maggiormente realizzabili.

29 settembre 1996
Mi si è fatto chiaro, dopo aver sentito diversi pareri (contrastanti), il dovere di presentare al Vescovo le dimissioni dall'ufficio di Parroco.
Mi trovo nella fisica impossibilità, a causa del parkinson, di svolgere le funzioni tipiche del parroco: contatti con le famiglie, visita agli ammalati... presidenza eucaristica...
Mi risulta quasi impossibile garantirmi una regolare seduta quotidiana di fisiochinesi.

1 5 ottobre 1996
Dimissioni
Oggi, festa di s. Teresa d'Avila, ho presentate le dimissioni da Parroco.

I 8 ottobre I 996
Dimissioni come ammissione
Il Vescovo ha risposto immediatamente alla mia lettera di dimissioni, dicendosi ben comprensivo delle motivazioni da me addotte e desideroso di incontrarmi al più presto per affrontare in concreto la questione.
L'ho contattato immediatamente. È di nuovo febbricitante. Per lui si vanno forse compiendo i giorni dell'esodo?
Vivo questo momento della mia vita non come una dimissione ma come una ammissione. Sono come un postulante che ha chiesto di entrare in convento e aspetta l'assenso del priore.
In realtà sto per lasciare un modo di essere Chiesa e nella Chiesa caratterizzato dalla presidenza attiva, per assumerne un altro, non certo opposto ma complementare, più legato ai fattori generativi della Chiesa: quello di amico dello sposo che prepara l'incontro con la sposa (Gv 3).
Mi si chiarisce meglio la percezione avuta fin dalla iniziale comparsa del parkinson, che questo non fosse un impedimento ma una "chance": chiudendo una porta, ne apriva un'altra.

05 febbraio 1997
(Ritiro a Salso) Punto esperienza della malattia
Il procedere, non precipitoso ma inesorabile della malattia mi sembra un dato.
È aumentato il disagio nel camminare a motivo della deviazione del tronco e della maggiore rigidità. Nettamente aumentato il dolore nella zona dorsale e sacrale.
Annoto come semplice constatazione il modo con cui continuo a vivere la malattia. Intanto le gravi, oggettive limitazioni (ora cammino solo in casa!), non le sento soggettivamente tali. Mi ritrovo più impegnato nel valorizzare il tanto che ancora mi è dato, più che a recriminare su quello che mi è stato tolto. Mi sento graziato. Sono sereno. Certamente influisce su questa percezione il fatto di potermi dedicare alla Parola di Dio.
E poi c'è una questione di fondo. L'improvviso apparire del morbo, senza preavvisi (tipo la familiarità...), in un momento topico della mia vita, sciolto dalle responsabilità legate a mia madre, per il suo esodo, e quindi libero per altre esperienze... mi ha lasciato la percezione netta di un preciso intervento, di un segno paradossalmente positivo.
Non argomento, non proclamo, non deduco... semplicemente registro qualcosa di dato.

15 aprile 1997
Non ho ancora ricevuto risposta alla mia lettera di dimissione da Parroco. La salute del Vescovo è gravemente compromessa. La speranza sua e dei Vicari è che io receda.
Ne ho parlato ieri con Mons...
Per quanto sia delicato il momento della Diocesi, non intendo ritirare le dimissioni per evidenza personale delle motivazioni.
Sia l'auctoritas a prendersi la responsabilità di respingerle. Obbedirò.
I giorni volano via. Per me sono molto brevi per la lentezza nelle azioni anche più elementari. Mi è molto difficile trovare il tempo per la tìsiochinesi.
Anzi, non lo trovo affatto.
Si è aggiunto il dolore. Non occorre il cilicio.
Trovo molto "importante" moltiplicare gli atti di offerta. Per tutti, ma specialmente per quelli che hanno abbandonato.

1 8 aprile 1997
La strada della debolezza
Una serie di piccole cose mi hanno messo di nuovo di fronte alla mia situazione nelle sue implicazioni pratiche ma soprattutto come visione d'insieme.
Qual è la volontà di Dio su di me?
.:. Tentare di rispondere alle varie richieste, comunque, e a qualsiasi costo?
.:. Cercare una presenza quantitativamente fedele, spendendomi fino in fondo, senza preoccuparmi dell'inevitabile logoramento, in una sorta di immolazione, secondo la lettera di tal une forme di spiritualità cristiana?
.:. Oppure essere inadempiente, riducendo il fronte dell'impegno, accettando la condizione di nonefficienza, di marginalità, di debolezza ma salvando la integrità e il rispetto della mia persona e la qualità... del mio contributo?
Visto che i segnali sono contrastanti, tenendo conto dello spirito del Vangelo e di quanto il Signore mi ha fatto percepire in questi anni, opto per la seconda risposta.

20 maggio 1997
Sto aspettando la risposta del Vescovo alla mia lettera di dimissioni, inviata ormai da sette o otto mesi.
Nel frattempo la salute del Vescovo si è notevolmente aggravata.
Giovedì scorso ha pubblicamente dichiarato di aver dato, a sua volta, le dimissioni e che, come risposta, gli è stato detto di "avere pazienza".
In sagrestia, mi ha detto: "Siamo sulla stessa croce!".
Avverto la spinta, il desiderio, la fiducia, l'attrattiva verso la meditazione della Parola, la riflessione, l'animazione, in un contesto di sobrietà e di distacco dall'immediato, nell'ascolto delle persone e della realtà senza pressioni operative, in/con/per questa mia Chiesa/Umanità.
Ma ormai ho quasi appreso che niente è garantito e sicuro se non quello che ci è dato.
E allora tranquillamente sono ancora qui, vivo qui, giorno dopo giorno, quanto mi è dato, ma con più libertà e rispetto di me stesso, "e aspetto sulla Sua parola".
In fondo, che cosa so io di me?

27 maggio 1997
In data 26 maggio '97 ho rinnovato le dimissioni, rimettendomi, tuttavia, al giudizio del Vescovo. La pastorale è stata di fatto la mia spiritualità, la mia scuola ascetica, ma anche il luogo di forti tensioni interiori.
La malattia mi ha in gran parte liberato da questo tormento, mettendomi nella condizione del disabile.

29 maggio 1997
Adorazione Corpus Domini.
Da una preghiera di S. Teresa del B.G.: "Comincia una vita nuova: ogni istante, un atto di amore".
Proprio così.
Comunque si mettano le cose, che io vada o che io resti, è un nuovo mandato, cioè un inizio.
Lottare per vivere o vivere per lottare?

15 giugno 1997
Le parole ora stentano ad uscire ora si accavallano.
Il testo evangelico odierno mi ha molto illuminato. La forza dell'annuncio non dipende dal predicatore ma dalla parola di Dio annunciata: un predicatore debole può essere per questo veicolo di un annuncio forte.
Ho pensato al fatto che per anni il Signore mi ha dato un parlare fluido e molto immediato, mentre tanti miei confratelli penavano per il loro impaccio e venivano per questo non considerati. Trovo giusto che ora ci sia io da questa parte! Avverto che è un dono: sia il vivere una esperienza che mi purifica e mi porta dritto dritto nel cuore del Vangelo; sia il fatto di poterla affrontare con lo spirito giusto e non con l'amara ribellione di chi si sente derubato o ingiustamente colpito.

09 giugno 1997
Lettera del Vescovo
Lettera del Vescovo. Non accetta le dimissioni. Come avevo già detto, mi attengo alla sua decisione.
Questa, per ora è la mia strada. Posso dire di aver sperato che le dimissioni fossero accolte. Per quanto anche il lasciare non fosse privo di incognite, tuttavia il restare è più duro.
Non è come condannare una persona ad assistere ai propri funerali?
E tuttavia credo nel mistero legato alla obbedienza.
Credo al mistero legato alla debolezza.
Credo che ci sia una efficacia legata non alla efficienza ma alla deficienza.
Mi sembra perfino di coglierne i segni!

21 settembre 1997
45° Ordinazione
Continua il processo del mio oscuramento, che mi si illumina come azione misteriosa di Dio. Non sono io che lo leggo o lo sento così, ma è questo processo che mi si mostra così. Non sono io a volerlo, anzi mi costa, mi brucia ma non posso rifiutarlo, ribellarmi perché sarebbe come ribellarmi e rifiutare la verità di me.
Mi è sempre più chiaro (luminoso!) come soltanto nella fedeltà rigorosa ed esigente a questo "mio sentiero" stia la mia identità, la mia riuscita.
Il mio peccato sta nello svicolare, tentando piccole puntate in territori più gradevoli, di più promettente successo.
Sono come un mulo che va continuamente ricondotto al suo sentiero.

10 ottobre 1997
Ho avvertito, forte, oggettivo, il bisogno che il Signore tornasse a parlarmi. Lo ho espresso in preghiera. E mi sono ritrovato come nella luce.
Evidentemente questo bisogno non veniva da me ma da Lui: era già lo Spirito che pregava in me.
Che cosa mi ha detto? D'un colpo solo ha fatto sintesi tra:
.:. la mia situazione fisica
.:. la principale percezione avuta a mio riguardo durante i ritiri sullo Spirito
.:. la situazione della Parrocchia
.:. l'urgenza di una totale dedizione e affidamento allo Spirito, libero da attese progetti sogni, accettando anche possibili fallimenti.

1998
26 febbraio 1998
Oggi, per la seconda volta (e sarà certamente l'ultima), ho introdotto il Ritiro ai Preti della diocesi.
Avevo scelto 1 Cor 1 e 2. La Croce! Mi sono trovato nella più completa debolezza. La parola incespicava... il pensiero si smarriva... il fiato mancava...
Niente di drammatico per me, parkinsoniano, ma non per l'uditorio, immagino.
Non conosco ancora la reazione di Mons... che si è presa la responsabilità di darmi questo incarico, pur conoscendo la mia condizione di salute... Non conosco la reazione dei confratelli, ma alcuni segnali mi sembrano eloquenti.

15 marzo 1998
Anche oggi, nella Messa, e in particolare all' omelia (preparata con cura) grave difficoltà a parlare distintamente: le parole si inceppano, si accavallano. Poi, man mano che il discorso procede, e i muscoli si irrigidiscono, il respiro è sempre più contratto.
Ho finito la Messa umiliato, con un senso quasi di colpa nei confronti della gente, qui convenuta e che ha diritto ad un adeguato nutrimento, che io non sono riuscito ad offrire.
A livello cosciente aderisco a questa situazione con fede convinta nel mistero della debolezza.
Eppure avverto, anche in questo sentirmi sconfitto, una non completa accettazione della mia realtà, il permanere di resistenze sottili, di attese, non dominabili al momento, che dimostrano quanto lungo e lento sia il cammino della piena liberazione dal mio io.

16 marzo 1998
Immagine del vetro
La mia situazione mi si è definita con l'intuizione del vetro.
Più il vetro è se stesso, cioè trasparente e pulito...
così da lasciar vedere attraverso se stesso il paesaggio circostante, e meno "si fa vedere". Meno il vetro è se stesso perché sporco ed opaco, così da non lasciare passare la luce, e più "si vede".
Avverto la spinta/chiamata e l'esigenza dello spirito a lasciar trasparire Dio attraverso tutta la mia vita.
Ma sono/mi sento ancora troppo protagonista, non del tutto dimentico di me.
E questo anche con me stesso. C'è ancora interferenza di me tra Dio e me e tra Dio e ogni altro (persona o avvenimento).

20 marzo 1998
Buon uso della malattia
Devo vigilare per un buon uso della malattia. Non limitarmi a combatterla e accettarla.
Non limitarmi a lavorare con quanto mi resta di sano. La malattia è un modo di essere diverso, dove il limite/negativo dà al tutto della persona una fisionomia nuova. Il colpo di scalpello che toglie una scaglia di marmo dà alla statua un tratto nuovo. È un negativo-positivo.
La malattia è una scuola, tutta da imparare.
La malattia è una disciplina, cui ubbidire.
La malattia è una "offerta" specifica, accanto alle altre offerte, da offrire.
Se chiude alcune strade/possibilità, favorisce la concentrazione dell'essere su quelle che restano aperte.
Man mano che avanza e riduce il "fare", diventa una crescente spinta nella direzione dell'essere.

26 marzo 1998
Mi ritrovo attratto da vivissimi interessi culturali e sollecitato a raccogliere materiale, come se avessi vent'anni. E, invece, il tempo si è fatto breve. Avverto l'urgenza di concentrarmi su ciò che mi è dato da vivere, per non sciupare quel "porro unum" che nessuno può fare al mio posto.

03 aprile 1998
Non dovrei stupirmi eppure mi stupisco nel sorprendermi nel mio io/egoista ancora cosÌ sottilmente resistente.
Mi sorprendo "luciferino" nel senso letterale della parola, cioè con la voglia, l'ambizione, la speranza di essere portatore di luce. Di essere ed avere qualcosa di esclusivo da far valere, da affermare, qualcosa di mio, di "io", che non debbo a nessuno... che mi distingua dagli altri, che garantisca una mia esclusiva superiorità. Mi sorprendo disposto a tutte le umiliazioni pur di poter salvare questa mia esaltazione...
Indubbiamente ciascuno di noi è un soggetto unico, irriducibile... La fede cristiana mi ha fatto scoprire che non sono un ruscello che finisce, scomparendo, nell'oceano...
Ma chi o che cosa mi costituisce nella mia unicità: l'atto luciferino di affermarmi come "microassoluto" (esponendomi ad essere alla fine un "tizzone fumigante"...) o il riconoscimento di essere "stato fatto" da COLUI CHE È?
La mia verità è di essere specchio o vetrata, che esalta e colora la luce che riceve ma che non produce.

1 1 maggio 1998
L'errore più grande... anzi, la stupidità suprema, il peccato... nell' esperienza della malattia, tanto più se irreversibile, è di pottarla ripagandosi con piccole compensazioni.
Proprio perché è questione seria, la malattia inguaribile va assunta con totale rigore di vita.

02 agosto 1998
Reale ésperienza di piccolezza. 
In questo primo giorno di convivenza estiva con Fede e Luce, si è accentuata la mia difficoltà nel parlare. La lingua si inceppa in modo grave.
Questa nuova situazione mi pesa: mi vedo nell'impossibilità di comunicare normalmente con le persone, ma soprattutto di esplicare l'annuncio della Parola.
Questa esperienza mi fa toccare con mano quanto cammino c'è da fare per vivere con fede e verità la propria debolezza. Mi sono sorpreso a pensare rivalse non divine ma umane mie, tipo: sorprendere con "pagine illuminanti"... con efficacia inattesa... (ma come opera mia!) quanti dicono o pensano: "Poverino!".
Mi rendo conto che la "piccolezza" reale, sperimentata come sproporzione, quando si ha ancora un compito o un ruolo, o come totale insignificanza, quando non si è più niente... tale piccolezza, per essere assunta positivamente e non per rassegnazione, esige un assoluto intervento della grazia.

13 ottobre 1998
Dimissioni accolte
Il nuovo Vescovo, Mons... accetta le mie dimissioni. C'è solo da precisare le modalità.

02 novembre 1998
Rigore
Ho scritto al Vescovo, comunicandogli la mia opzione per il Seminario. Non ho né dubbi né particolari timori per questa scelta.
Piuttosto avverto l'esigenza/spinta/attrattiva di affrontare la nuova vita, quando sarà e se sarà, con un criterio di rigore perché non si risolva in una operazione di tutto comodo. Il tempo che mi sarà dato, se mi sarà dato, è più che mai prezioso anche perché è l'ultimo. Non posso e non debbo buttarlo.
Come chi è impegnato in un apostolato attivo si spende tutto in/per esso, così (anzi... più e meglio) io sono chiamato a fare nell'apostolato inattivo.

03 novembre 1998
Sono come un novizio impaziente di entrare nel luogo del Mistero, della promessa.
Non sto seguendo un sogno ma obbedendo ad un richiamo, ad una combinazione di avvenimenti interiori ed esteriori.
Ancora una volta un passo della S. Scrittura mi fa da stella (Fil3,13-14):
.:. "Dimentico del passato", che - in realtà - è ancora ben presente, ma senza attaccamento o presunzione di tentare un bilancio: i conti si fanno alla fine... ma chi li fa? Voltarsi indietro non è, forse, morire impietriti? Tirarsi addosso il giudizio: "non sei degno di me?";
.:. “proteso verso il futuro", che ignoro nella sua quantità e qualità ma che so determinato dalla Tua presenza e giudicato dalla Tua misericordia;
.:. "corro verso la meta".
M'interessa la porta che si è spalancata e l'invito rivoltomi: "Entra".


1 In senso lato, di realtà creata, fatta spazio dell'agire di Cristo.
2 Questo inserimento è "oggettivo", in forza della natura delle cose: convergenza di finalità, la liberazione. E per la libera disposizione del Signore quale appare nell'UNZIONE (riferimento principale, fondante) dove 'il gesto terapeutico dell'ungere è assunto come segno efficace di CRISTO TERAPEUTA. E "soggettivo" per il libero atteggiamento del credente, che intende vivere in Cristo non solo il travaglio della malattia ma anche l'avventura terapeutica, spesso dura quanto la stessa malattia. "Tutto si compia nel nome del Signore".
3 Questa prospettiva fa intravedere il superamento di ogni dualismo.